di Edoardo Certelli

La nuova frontiera di un intero genere

Uno dei generi che più ha messo in discussione negli ultimi anni i propri paradigmi espressivi e schemi narrativi è sicuramente la fantascienza. Prendendo in esame solo il nuovo millennio, da A. I. – Intelligenza Artificiale fino a District 9, passando per Moon, The Signal ed Ex Machina, abbiamo assistito ad un cambiamento graduale nel genere, che ha comportato una riduzione sistematica delle scene d’azione a favore di opere più raffinate e ragionate. Il momento in cui un muro si rompe inequivocabilmente è con l’uscita di Interstellar nel 2014, dove però si ha la netta sensazione che Nolan abbia sì aperto una porta, ma che non abbia avuto il coraggio di oltrepassarla fino in fondo; le troppe le strizzate d’occhio allo spettatore e qualche buco eccessivo non rendono questo grandissimo film un capolavoro. Il film che varca quella soglia è Arrival, regia di un maestoso Denis Villeneuve.

Impossibile vedere Arrival senza ripensare ad Interstellar: non sfuggono all’attento spettatore le similitudini tra le due pellicole, specialmente a livello contenutistico. Il montaggio di Arrival è sicuramente di matrice nolaniana, con le immagini che acquistano significati diversi a seconda del momento, ed è l’arma di cui si serve Villeneuve per condizionare la nostra costruzione dei personaggi e per assestare i vari colpi di scena. Colpi di scena che abbondano in un film in cui, potremmo dire, non succede poi molto. La maestria del regista canadese, che riesce ad incollare gli spettatori a guardare dei personaggi risolvere un codice, è indice di smisurata bravura e di un’incredibile padronanza della cinepresa che, di concerto con l’ottima fotografia e lo splendido sonoro, rendono il comparto tecnico del film di altissimo livello.

Louise Banks, la linguista chiamata a decifrare la lingua degli alieni approdati sulla terra, è il tramite grazie al quale riusciamo a sciogliere la matassa dell’intreccio: la sceneggiatura insiste in modo profondo e originale sull’importanza della comunicazione tra i popoli, offrendo molti spunti interessanti in merito. Ma è sul tempo che il film ci pone le sue domande più oscure. La genialità del tutto risiede nel fatto che lo spettatore stesso sembra acquisire la capacità di intendere il tempo come una circolarità, in cui inizio e fine si mescolano senza posa. Passato, presente e futuro hanno confini sempre più labili, diventano una questione di prospettive con l’incedere del film. Villeneuve, come sua abitudine, pone quesiti scomodi guardandosi bene dallo schierarsi: Louise sa come finirà il suo viaggio, ma sceglie di intraprenderlo ugualmente, mostrando un coraggio che può facilmente essere inteso come un profondo egoismo. Un’immancabile lode, infine, per l’interpretazione superba di Amy Adams, che dalle parti di Hollywood continua ad essere a dir poco sottovalutata.

E’ l’inizio di un nuovo corso. La fantascienza conosce il suo primo, vero e puro film esistenzialista, nel senso filosofico del termine, senza vezzi eccessivi intorno. Sarà il tema della scelta ad essere centrale nei prossimi capolavori del genere, e Arrival non potrà che essere un pilastro. Villeneuve, dopo 7 grandissimi film, sforna il suo primo vero capolavoro, confermandosi un autentico fuoriclasse, forse il migliore in circolazione al momento. La sensazione è che per Blade Runner 2049 siamo in ottime mani.