La Pazza Gioia

di Marco De Luca

Potrebbe sembrarvi un peccato che qui su cinehaus non si sia parlato dei vincitori dei David di Donatello annunciati il 27 marzo: è sempre un bene dare spazio a quei (pochi) prodotti del cinema italiano ancora degni di nota. Per rimediare a questa mancanza abbiamo preso in esame la pellicola che, in almeno due modi diversi, ha monopolizzato l’attenzione nell’ambito del prestigioso premio. Si tratta ovviamente de La pazza gioia di Paolo Virzì.

Presentato a Cannes e uscito nelle sale italiane il 17 maggio 2016, il film ha incassato in totale 6 milioni di euro, un risultato ottimo (anche se non eccezionale) che permette a Virzì di riconfermare il proprio prestigio nel panorama registico italiano.

E lo fa con una trama allo stesso tempo spiritosa e toccante, quella che vede protagoniste Beatrice e Donatella: due personaggi curiosi che passeggiano sulla sottile linea di separazione tra la follia e la ragione, passando per attimi di genialità e di inaspettata profondità che coinvolgono lo spettatore e lo portano fino a chiedersi quale sia la distanza tra “noi e loro”, tra il nostro mondo e quello, allucinatorio, della storia. È un entusiasmo che cresce in modo costante, quello con cui ci si appassiona alle surreali peregrinazioni delle protagoniste.

Il film ha ottenuto buone recensioni anche all’estero e in particolare in Francia. Il merito di portare al successo in terra straniera la commedia italiana può essere riconosciuto ormai a pochi registi: oltre che a Virzì, in tempi recenti forse a Paolo Genovese (Perfetti sconosciuti) e Gennaro Nunziante, in arte Checco Zalone (Quo vado?).

La brillante pellicola di Genovese, oltre ad aver ottenuto grossi guadagni e la vittoria del premio sceneggiatura al Tribeca di New York, è destinata a una lunga serie di remake: diversi paesi hanno infatti acquistato i diritti, decretando definitivamente la fortuna del regista. Per non parlare di Zalone che con la sua ilarità travolgente è arrivato fino in Giappone e in Nuova Zelanda.

Tuttavia entrambi i film, di fronte all’opera di Virzì, accusano una qualche mancanza. Che sia l’angusta spazialità di “Perfetti Sconosciuti”, o lo humor grossolano e a volte sguaiato dei film di Zalone, o che sia altro ancora: in ogni caso “La pazza gioia” distanzia senza difficoltà le altre pellicole e si pone in uno spazio ideale, perfettamente a metà tra il romanticismo, la leggerezza e il divertimento. È romantico il viaggio di Beatrice e Donatella, è leggera l’intesa che le accompagna, è divertente la totale inconsapevolezza con cui affrontano gli eventi della vita.

Ed è inevitabile rallegrarsi di fronte al numero di riconoscimenti che il film si è aggiudicato alla serata di premiazione dei David, ratificandone il condiviso apprezzamento. Sono ben cinque le statuette vinte, tra cui tre delle più importanti: miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista.

A vincere quest’ultimo premio è l’attrice Valeria Bruni Tedeschi, ma è un elogio chiaramente destinato anche alla bravura di Micaela Ramazzotti, il secondo elemento che compone l’imprevedibile coppia del film e che giustamente è salita sul palco a condividere la vittoria.

La Bruni Tedeschi si è poi dilungata in un discorso di ringraziamento inconsueto, fra il faceto e il commovente, riferendosi senza soluzione di continuità ad amici e ad attori famosi, a parenti e a poeti, scrittori, persone care e persone mai conosciute, in un disegno folle che non ha tralasciato la sua “povera psicanalista” e che ha avuto grossa risonanza sui social, attirando ancora di più l’attenzione sulla pellicola (per una volta, meritatamente).

Ringraziando ben due volte Virzì, l’attrice torinese ha ricordato la lunga collaborazione con il regista: era stata già scelta come una delle protagoniste del Capitale umano (2013), altra notevole produzione di Virzì che fra l’altro le era già valso il David come miglior attrice.

Fra l’altro, come dichiarato dallo stesso regista, fu proprio sul set del “Capitale umano” che nacque l’idea alla base de “La pazza gioia”: guardando sua moglie Micaela Ramazzotti camminare con passo incerto nel fango e nella neve per mano della Bruni Tedeschi, Virzì riuscì a intravedere la potenzialità comunicativa di quella strana coppia che, con quelle stesse movenze incerte dettate da “un misto di paura e fiducia”, è finita per diventare il soggetto della pellicola.

Ora che siamo di fronte ai frutti di quella intuizione, possiamo dire senz’altro che non solo il regista livornese si è meritato le prestigiose statuette, ma che è riuscito a dimostrare ancora che la commedia all’italiana è un genere vivo e prolifico, in grado di offrire risultati di eleganza rara.