Moonlight

di Francesco Vitiello

Parliamo di un film che ha suscitato grande clamore per la vittoria dell’Oscar 2017 come miglior pellicola dell’anno: Barry Jenkins ha deciso di sfidare il mondo del cinema con la regia di un film che ha toccato tematiche delicate quanto attuali nella nostra epoca.

La vita di un bambino, adolescente e giovane adulto di Miami costretto a combattere il giudizio e il razzismo dei suoi coetanei per via di una diversa sessualità: Chiron, chiamato Little e poi Black, è solo ed indifeso, insicuro, inconsapevole dei suoi reali sentimenti d’amore, spesso maltrattato, odiato e abbandonato  dalla sua stessa madre, una tossicodipendente interpretata da Naomie Harris che non fa altro che inveire contro suo figlio, lasciando agli altri il compito che, secondo le norme sociali, spetterebbe ad una madre.

La durata del film (110 minuti) piuttosto breve per la drammaticità di cui si caratterizza l’intera storia, lascia a noi tutto il tempo necessario per riflettere a posteriori su quanto Barry Jenkins abbia voluto comunicare attraverso una trama così toccante, totalizzante e dirompente che si è fatta spazio nel cuore di ogni spettatore dopo tante lacrime, carezze mancate e parole troppo spesso pesanti.

La storia si suddivide in tre capitoli (il film si rifà a In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, un’opera teatrale), ognuno dei quali ha il compito di raccontare la crescita del piccolo Chiron e la nascita del suo sentimento d’amore nei confronti dell’amico Kevin, l’unico che l’abbia solamente sfiorato e non malmenato come tutti gli altri.

L’assenza della figura paterna sembrerebbe essere la spiegazione psicologica più logica da affibiare all’omosessualità del giovane Chiron, il quale nel corso della sua infanzia e adolescenza ha dovuto patire l’inferno per via di una comunità nera criminale e violenta.

Costretto a crescere e a diventare più forte degli altri,  per esistere e resistere contro la comunità e i suoi demoni interiori che lo tormentano da quella notte sulla spiaggia col giovane Kevin, in cui avvenne la prima chiara manifestazione d’amore nei confronti di quel ragazzo che è cresciuto al suo fianco e ha cercato di metterlo in guardia dai numerosi guai.

Questioni toccanti e delicate toccate da una regia che come un’ombra traccia il sentiero della vita di Chiron in quella che può essere definita come la parabola di affermazione del sentimento d’amore omosessuale nei confronti del coetaneo Kevin. Ma Moonlight non è solo questo, è la manifestazione di un cinema sempre più attuale, al passo coi tempi e con le tematiche fondamentali che lo caratterizzano, è la prova di un regista che ha dato voce ad un aspetto della modernità che ormai, nel 2017, si è fatto spazio tra le nostre vite, poiché naturale, lecito, sincero.

A differenza di un film come Philadelphia (del 1993 con Tom Hanks premiato come miglior attore) che ha trattato il tema dell’ AIDS in maniera forte e diretta, 24 anni dopo Barry Jenkins col suo Moonlight ha voluto tratteggiare l’aspetto dell’omosessualità in maniera seducente, visionaria e quasi ingenua tramite un ritratto introspettivo di natura sociologica.

La colonna sonora stessa, azzeccatissima e delicata, assai diversa dal capolavoro di Bruce Springsteen di Philadelphia, ci lascia immergere nella pellicola a poco a poco, così come passo dopo passo Chiron ha capito davvero chi è stato, chi è e chi potrebbe realmente essere in un futuro tutto da vivere.

A un certo punto dovrai decidere da solo chi vuoi diventare.

Non lasciare che qualcuno decida per te.