di Andrea Lucchesi

La la Land

Il musical del nuovo millennio

Ci sono film che appartengono a generazioni intere e ne sono rappresentanti. Ecco che allora salta subito all’occhio come, di fatto, mancasse sul serio un musical che potesse portare più persone possibili nelle sale; un film che fosse stato in grado di far avvicinare i più giovani ad un genere, che nelle ultime tre decadi aveva sempre goduto di poco entusiasmo e considerazione, proprio perché etichettato come un genere appartenente al passato, ad un’epoca che non ci può appartenere, e per questo circondato da un’aura di così poca appetibilità.

Io che guardo un film dove cantano e ballano?

No, grazie.

Se ci pensate bene, i commenti sono sempre stati più o meno di questo tipo, soprattutto sui social. Sin dall’uscita del trailer, era già chiaro come questo film sarebbe ben presto entrato nel cuore di moltissime persone; lo si respirava con largo anticipo. Era qualcosa che traspariva già dalle immagini, dai colori, dalle splendide canzoni; senza contare, inoltre, che la coppia protagonista era formata dagli affiatati Ryan Gosling ed Emma Stone, in quelli che, ora possiamo dirlo, si sono già rivelati come i ruoli di una vita intera.

Ma cosa rende La La Land un musical diverso?

Qui entra in scena il giovane regista, Damien Chazelle, con quel gioiello dal titolo Whiplash, uno dei migliori esordi a Hollywood degli ultimi anni. Anche in quel caso la musica la faceva da padrona, ma in modo del tutto differente; di base, Whiplash era un film drammatico, che ti portava a riflettere sul sacrificio e sul peso delle motivazioni. Affrontare un genere come il musical sarebbe stata tutta un’altra storia; affrontarlo con successo, poi, sarebbe parso quasi un’utopia, a maggior ragione per un così giovane addetto ai lavori. Eppure, Chazelle riesce nell’intento; tirando fuori dal cilindro la combinazione vincente, La La Land appare come il perfetto punto di incontro tra il musical classico e la commedia romantica moderna.

Non ci sono invece evidenti segnali, che ti facciano supporre che vi sia una precisa collocazione temporale e che la trama sia quindi ambientata ai giorni nostri. O per meglio dire, tu sai benissimo che è così, ma appare tutto decisamente sottotraccia; perché la sensazione è quella di assistere ad una storia come sospesa nel tempo, svincolata da tutto.

Che si tratti di una storia senza tempo, lo si intuisce anche dalla formazione cinefila di Mia, la nostra protagonista; è cresciuta guardando pellicole come Susanna o Notorious e le pareti della sua abitazione sono abbellite da poster raffiguranti Ingrid Bergman e Burt Lancaster. Tutti nomi immortali, insomma; l’omaggio alla stagione del cinema americano classico non poteva essere più palese. Come nel fantasy o nella fantascienza, lo spettatore accetta tacitamente eventi fuori dall’ordinario; che da un momento all’altro, per esempio, un vialone si possa riempire di persone urlanti di gioia, che si muovono sincronizzati a ritmo di musica, o che due amanti possano librarsi in volo e ballare sopra le nuvole, come nulla fosse.

I protagonisti di La La Land fanno esattamente questo: vivono un film (il loro film), dentro un altro film (il nostro film). Sempre in quest’ottica, un altro tratto distintivo del musical è che i personaggi guardano spesso e spudoratamente verso la telecamera, infrangendo la regola della quarta parete e gettando via la maschera. In La La Land questo succede già nei primissimi secondi, in un incipit che non potrebbe essere più grandioso: una folla di individui che ballano e cantano sui tettucci delle loro automobili, nel bel mezzo del traffico californiano; un piano sequenza da applausi.

Da applausi, poi, la scelta di scandire il racconto sulla base delle quattro stagioni: metafora delle fasi della vita e della relazione tra Mia e Sebastian. I momenti indimenticabili del film, comunque, sono tanti e diversi tra loro; oltre alla scena d’apertura, è doveroso citare il ballo a mezz’aria nell’Osservatorio Griffith, edificio che era stato mostrato allo spettatore giusto qualche minuto prima in un altro film, Gioventù Bruciata.

Molteplici i punti di riferimento utilizzati dal regista per la messa in scena, il più importante dei quali, forse, risiede nel magico ed emozionante finale, per il quale Chazelle si è evidentemente ispirato, invertendo però i ruoli, a quel New York, New York di Martin Scorsese. In quell’occasione, il personaggio interpretato da Robert De Niro, il sassofonista Jimmy, rivede dopo tanto tempo l’amore della sua vita, una ormai affermata Francine, applaudendone la performance canora, all’interno di un famoso e gremito locale di New York. Nel film di Chazelle i toni sono decisamente più malinconici ed è il personaggio femminile, Mia, a godere della performance musicale, ma il parallelismo è comunque cristallino.

Durante i titoli di coda hai come la sensazione di aver appena assistito a qualcosa di importante, qualcosa di unico, che costituirà la base di partenza per eventuali progetti futuri dello stesso genere e realizzati da altri cineasti.