Perfetti Sconosciuti

di Sofia Donati

Ai tempi d’oggi quando intraprendiamo una relazione sentimentale con qualcuno dobbiamo fare i conti con un “terzo incomodo”, un oggetto che si rivela tanto utile quanto deleterio nei rapporti interpersonali: il cellulare.

Entrato inesorabilmente nelle nostre vite di tutti i giorni, c’è chi saprebbe immaginare la propria quotidianità senza fare uso, anche solo per qualche minuto, di questo mezzo?

Dentro quella piccola scatola nera che appartiene ad ognuno di noi sono spesso celate realtà che si vogliono tenere nascoste, mondi paralleli virtuali che danno vita a una sorta di sdoppiamento della persona.

Ma per quanto questa doppia realtà fittizia e inconsistente, riesce a rimanere segreta?

Una risposta a questa domanda ce la dà Paolo Genovese nel suo film di maggior successo “Perfetti sconosciuti”, una brillante commedia che dà grandi spunti di riflessione a tutto il pubblico a cui si rivolge, mettendo a nudo e sottolineando quanto sia facile squarciare quel velo di Maya che divide la realtà e un abisso di segretezze.

Quattro amici di vecchia data Rocco, Cosimo, Lele e Peppe (interpretati rispettivamente da Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastrandrea e Giuseppe Battiston) accompagnati dalle rispettive mogli, Giuseppe escluso, si ritrovano attorno a una tavola tutti insieme, in quella che sembrerebbe una normale rimpatriata tra amici. Tutto procede linearmente fino a quando la padrona di casa, Eva, propone un gioco all’apparenza innocente quanto diabolico: perché non rendere pubbliche per quella sera chiamate e sms?

Inizialmente non è una proposta ben accolta da tutti, perché in fondo c’è la consapevolezza che potrebbero uscire alla luce del sole molti scheletri nell’armadio; alla fine, però, si decide ugualmente di lasciare che il telefono squilli liberamente e che tutti mettano completamente a nudo verità taglienti tenute nascoste da troppo tempo.

Amici che pensavano di conoscersi a memoria, chiamata dopo chiamata, messaggio dopo messaggio si rendono conto che effettivamente non sono nient’altro che sconosciuti.

A poco a poco si sgretolano e perdono consistenza certezze che si avevano nei confronti del proprio amico, si vengono a scoprire relazioni sotteranee e volutamente tenute nascoste agli occhi del proprio partner e tante altre importanti verità che uno smartphone aveva racchiuso. Una tavola apparecchiata per la cena che diventa invece un campo di battaglia, in cui sono disseminate bugie, insicurezze e rivelazioni che drasticamente stravolgono la serata.

Perfetti sconosciuti è un film che fa riflettere, che con i suoi dialoghi sapientemente costruiti da Genovese mette in primo piano l’inconsistenza e la poca trasparenza dei rapporti fra le persone, ostacolati da un muro virtuale di bugie e verità nascoste. Basta lasciare che quanto contenuto nel cellulare venga reso manifesto per cambiare completamente idea nei confronti di una persona e far cadere tutte le certezze che si avevano su di essa.

Ovviamente questa pellicola fa chiedere a tutti se mai saremmo disposti a fare una cosa del genere, se saremmo titubanti o no nel lasciare che la nostra parte segreta di vita venga messa a nudo.

La presenza di un oggetto come il telefono che si è insinuato prepotentemente nelle nostre vite ha portato ognuno di noi a cadere in una trappola che si discosta dalla realtà in cui viviamo, privandoci del dialogo, della spontaneità e di una pura ed efficacie comunicazione: ha perso lo scopo originario per cui era stato concepito, ossia come semplice mezzo di comunicazione per diventare ben altro, la maggior parte delle volte fonte di incomprensioni e discussioni.

Come dice Kasia Smutniack (Eva) nel film “Qua dentro ci abbiamo messo tutto! Questo qua ormai è diventata la scatola nera della nostra vita!”; pur di non rinunciare a quel mondo virtuale si è disposti a mentire alle persone a cui si vuole più bene, a dare vita a uno sdoppiamento della propria personalità per poi trovarsi effettivamente vuoti, persi, senza un punto di riferimento e a non riconoscersi più nella realtà in cui si appartiene.

Vale davvero la pena alimentare questa scatola nera lasciando che i silenzi e le parole non dette prendano il sopravvento sulla vita reale?