di Pietro Murolo

Il Cinema Narrativo Classico pt.1

Mentre durante gli anni precedenti il cinema era considerato come una “via di fuga” per lo spettatore, che aveva la possibilità di immergersi in una specie di allucinazione priva di “regole” e con una trama ben poco definita, tra il 1927 ed il 1963 circa l’idea comune che si ha del cinema cambia in modo radicale.

Sono gli anni della così detta “età d’oro di Hollywood” in cui venne messa a punto e affinata una sorta di grammatica cinematografica che è ancora alla base del linguaggio dei cineasti moderni.

Si trattava essenzialmente di creare opere in cui lo spettatore si trovasse “al centro del mondo”. Le storie venivano narrate attraverso una tecnica chiara e di facile comprensione, in modo da risultare nel complesso il più piacevole e gratificante possibile.

I poeticismi ridotti al minimo impedivano allo spettatore di “distrarsi” dalla storia principale, consentendo inoltre una maggiore fluidità della narrazione.

Le tre linee guida fondamentali:

Leggibilità

Il contenuto deve essere chiaro, senza però diventare banale o troppo esplicito. Riuscire a far comprendere tutti gli elementi della narrazione diventa una necessità e per fare ciò serve uno stile chiaro e ben definito, che rinuncia ad un tocco troppo “criptico” e ad effetti complessi come il ralenti, l’accelerato, lo split-screen, ecc.

Gerarchizzazione

Nella sequenza esisteva una gerarchia tra le inquadrature. La mancanza di gerarchia generava confusione e impediva di capire e collocare mentalmente i dettagli.

Le figure in primo piano sono di norma le più importanti per la storia, con una differenza netta tra ciò che sta davanti e lo sfondo.

Qualcosa importante non poteva stare sullo sfondo, per cui la profondità di campo era da evitare, in quanto distraente. Inoltre deve essere sempre chiara la gerarchia dei personaggi, distinti in protagonisti, antagonisti e personaggi secondari.

Drammatizzazione

La distinzione tra bene e male deve essere chiara e netta, attraverso contrasti di luce, di piani, di posizione e di azioni. Ogni mezzo deve essere sfruttato al meglio per rendere più comprensibile l’aspetto interiore dei personaggi, il loro stato d’animo o l’importanza di una determinata scena.

Naturalmente alla norma si affiancava sempre la trasgressione, che serviva per dare al film quel tocco personale. Grande importanza era data alla velocità narrativa e alla costruzione delle inquadrature. il montaggio smise di essere un effetto speciale, ma divenne invece un abitudine comune che permetteva agli spettatori di osservare gli stessi soggetti da più punti di vista, rendendo la narrazione molto più fluida e “ritmata”.

Per unire due scene vennero messi a punto vari tipi di raccordo, che permettevano di passare da un punto all’altro in maniera continua e lineare (raccordo sull’asse, raccordo di movimento, raccordo di soggettiva…).

Gradualmente anche il cinema europeo iniziò ad adeguarsi alle novità provenienti dall’America, abbandonando le inquadrature fisse in favore di un montaggio dinamico e drammatico.

Lo stile europeo però (con esclusione del cinema russo, fatto di inquadrature brevissime) mantenne dei tempi più distesi e campi lunghi.

La profondità di campo (cioè l’inquadratura che mette a fuoco anche particolari molto lontani) era evitata dai cineasti americani perché riempiva l’inquadratura di dettagli che avrebbero distratto lo spettatore, richiedendo un rallentamento nel montaggio.

David Wark Griffith

David Wark Griffith è considerato il padre del cinema narrativo, colui che schematizzò le tecniche di montaggio in maniera da ottenere la massima leggibilità della storia e, all’occorrenza, creare particolari effetti drammatici utilizzando le tecniche sperimentali dei decenni precedenti.

La velocità del montaggio, le varie tecniche usate e perfino i giochi di luce ed ombra all’interno di una singola scena, erano ormai divenute fondamentali per scatenare nuove emozioni nel pubblico.

La “grammatica” di Griffith:

  • l’inquadratura intesa la porzione di spazio fisico all’interno della ripresa assimilabile ad una parola;
  • la scena intesa come insieme di inquadrature, assimilabile alla frase;
  • la sequenza intesa come insieme di scene, assimilabile ad un paragrafo.