di Edoardo Certelli

Moon – Uno sci-fi per palati fini

Duncan Jones, all’anagrafe Joey Bowie, non figura certo tra coloro che sfruttano un cognome prestigioso per salire alla ribalta dello spettacolo. Perché probabilmente sarebbe facile sfondare in un mercato spietato come quello cinematografico essendo il figlio di una leggenda della musica, ma Jones ha scelto la strada più difficile e tortuosa della gavetta: Moon è il suo primo lungometraggio, ed è già considerato come uno dei migliori sci-fi del nuovo millennio a dispetto del misero budget di 5 milioni di dollari. Moon è essenzialmente un film sulla solitudine e sulla voglia di libertà.

L’ambientazione lunare e le varie citazioni a capolavori passati come 2001: Odissea nello spazio e Solaris lo designano come un fantascientifico, anche se i tratti tipici di un buon thriller, soprattutto nella prima parte, non mancano affatto. Sam Bell, interpretato da un eccezionale Sam Rockwell, è da solo sulla Luna per conto della Lunar, un’agenzia che si occupa di energie rinnovabili sulla Terra. La sua unica compagnia è Gertie, una chiara rivisitazione buona dell’HAL di Kubrick.

La vicenda si complica assurdamente quando Sam scopre un proprio clone nella base spaziale. Il clone diventa ben presto un simbolo di critica verso la società, critica che ragionevolmente di riflesso si estende all’industria capitalista in generale. La Lunar, l’azienda in questione, pur di risparmiare sulla manodopera arriva a clonare un solo dipendente all’infinito, senza minimamente interessarsi alla componente umana di ogni singolo clone.

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Nelle prime scene insieme, i due Sam sono in profondo conflitto, ognuno dei due convinto di essere l’originale. Il momento della riconciliazione, del riconoscimento dell’altro come persona, rappresenta la vittoria dell’umanità contro la burocrazia; a Jones va riconosciuto l’innegabile plauso di non eccedere con il romanticismo, dosandolo alla perfezione senza mai renderlo banale.

Visivamente, il film è un piccolo capolavoro; oltre alle ottime scenografie degli interni, Jones non ha paura di mostrare la Luna allo spettatore, un timore che sarebbe potuto essere più che condivisibile visto il budget ristretto. Gli esterni sono resi alla perfezione sia a livello fotografico che di estensione, e nessuno può negare che il giovane regista abbia svolto un lavoro di prim’ordine in un genere in cui la componente visiva è spesso decisiva nel giudizio finale.

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Riguardo alle varie dispute che si sono instaurate tra i cinefili in questi anni, che sono arrivate a mettere in competizione Moon stesso ed Interstellar, che forse effettivamente sono i migliori fantascientifici dei nostri anni, è bene precisare che i due film sono profondamente diversi e forse accomunati solo dalla matrice fantascientifica di cui, però, entrambi si servono solo per una funzione di sfondo. Senza entrare nei particolari, entrambi i film meritano la visione in quanto esprimono, in definitiva, concetti diversi, nei quali il paragone non può sussistere.

Per chiudere con quella che potrebbe essere definita un’ironia della sorte, nel 1969 David Bowie celebrava l’arrivo dell’uomo sulla Luna con il suo immortale disco Space Oddity: cinquanta anni dopo, il figlio ne mostrerà il lato oscuro al grande pubblico iniziando quella che ci si augura sia una grande carriera.